Il debito pubblico di uno Stato è costituito dalla somma dei deficit di bilancio del passato alla quale si aggiungono gli interessi sui titoli di debito già emessi. A sua volta il deficit di bilancio di uno Stato (assai più frequente del suo surplus) è dato da una differenza negativa fra le entrate (tasse, dividendi da partecipazioni, contributi sociali, interessi e affini) e le spese (acquisti di beni e servizi, retribuzioni di dipendenti pubblici, prestazioni sociali, investimenti). Questa differenza crea il fabbisogno che uno Stato finanzia con il debito. Il costo del debito stesso deriva dagli interessi che il Tesoro italiano, per esempio, paga ai sottoscrittori di BOT, BTP, CTZ e di altri titoli del debito pubblico nazionale. Questi interessi sono collegati a una serie di variabili e influenzati direttamente dalla politica monetaria della banca centrale. L’ultimo supplemento al Bollettino Statistico della Banca d’Italia sui dati al gennaio 2013 evidenzia un debito pubblico salito a quota 2.022,7 miliardi di euro, il debito delle amministrazioni pubbliche al netto dei depositi presso la Banca d’Italia e delle operazioni di liquidità è di 1.954,6 miliardi di euro circa. Il 2012 si è chiuso con un rapporto fra il debito pubblico e il prodotto interno lordo pari al 127%, di questo ammontare circa l’82% era costituito da titoli di Stato.
Normalmente le decisioni sui tassi prese da una banca centrale influenzano direttamente i tassi pagati sul debito pubblico da uno stato. Uno dei sistemi più rapidi per ripagare il debito è stato in passato quello di stampare moneta ma gli effetti negativi di questi interventi hanno costretto i policy maker a limitare l’uso di questo strumento. Se infatti l’inflazione (incoraggiata da bassi tassi di interesse) favorisce la condizioni di un debitore che vede il proprio debito svalutarsi nel tempo, i suoi effetti nefasti sull’economia (il crollo del potere di acquisto, il calo della domanda e la stagflazione, ossia inflazione e decrescita congiunte) spaventano le economie avanzate. Diversi studi dimostrano per esempio che stampare moneta per coprire il fabbisogno genera effetti negativi sull’economia: l’inflazione tende infatti a rivelarsi in questi casi come una forma peculiare di tassazione.
sembra che adesso grazie alla Boldrini, le banche private sono divenute proprietarie della banca d’italia ( i tedeschi invece la loro banca centrale la mantengono statale) e possono anche vendere le loro quote a soggetti esteri. il parlamento potrà fare tutte le leggi che vuole ma sarà succube di chi gli presta i soldi, e se questo diventa un soggetto estero certamente non farà gli interessi degli italiani.
Se può esserti utile prova a dare un’occhiata a questo link: http://www.slideshare.net/Partito_Democratico/pd-5-faqbancaitalia1
No non mi ha chiarito
perchè dal 1936 agli anni ’90 le quote della banca d’italia erano delle banche che non erano private ma pubbliche.
Poi avendo aumentato a 7,5 miliardi le banche private si beccheranno un dividendo di circa 400 milioni di euro all’anno per sempre.
Vendendo le quote per restare sotto al 3% faranno altri guadagni.
Fonte: questo articolo: http://www.qelsi.it/2014/operazione-bankitalia-tre-motivi-seri-per-non-essere-daccordo/