“Mi sembra pari agli dei quell’uomo che siede di fronte a te e vicino ascolta te che dolcemente parli
e ridi un riso che suscita desiderio. Questa visione veramente mi ha turbato il cuore
nel petto: appena ti guardo un breve istante, nulla mi è più possibile dire,
ma la lingua mi si spezza e subito un fuoco sottile mi corre sotto la pelle e con gli
occhi nulla vedo e rombano le orecchie
e su me sudore si spande e un tremito mi afferra tutta e sono più verde dell’erba e
poco lontana da morte sembro a me stessa.”
(Saffo)
Semplicemente Saffo. Per chi ama la poesia il suo nome rappresenta ormai un mito senza tempo; la sua voce, così straordinariamente limpida e intensa, giunge dalle remote lontananze della Grecia antica e canta l’amore come malattia e turbamento sconvolgente dell’animo, come tenerezza che perdura nella nostalgia della memoria, ma anche lo strazio della solitudine e la malinconia del tempo che scorre e separa. Nei suoi versi non vi è il minimo indizio di lavoro o di sforzo, ma possiamo immediatamente godere della pura bellezza dei versi della sua poesia. Quando come in questo caso diventa poesia, la realtà, talvolta dolorosa e sempre condizionata e depressa dalle circostanze esterne e dagli oggettivi limiti umani dei protagonisti, si trasforma in qualcosa di diverso, diventando un’alternativa alla realtà, che assume le forme e le dimensioni della nostra adesione sentimentale ed emotiva. E’ come se i limiti della realtà cedessero, infatti questi versi, queste creazioni, non sembrano essere state prodotte, ma sembrano essere state eternamente presenti o essere sorte da sé, involontariamente, “così come la dea dell’amore si levò dal mare lieve e subito perfetta”.
Davvero complimenti! Un’analisi perfetta, direi universitaria.
Bravissimi!